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Freud and Zionism:Freud's letter and one article in "Corriere della Sera"

Little Sister | 07.07.2003 08:09 | Culture

In February 1930 Freud was asked, as a distinguished Jew, to contribute to a petition condemning Arab riots of 1929, in which over a hundred Jewish settlers were killed. This was his reply:


The Arab-Israeli Conflict
Freud would not have been surprised at the continuing conflict in the Middle East. He predicted as much 70 years ago.

We can predict Freud's response because of a letter he wrote to Dr. Chaim Koffler in 1930. In February 1930 Freud was asked, as a distinguished Jew, to contribute to a petition condemning Arab riots of 1929, in which over a hundred Jewish settlers were killed. This was his reply:

Letter to the Keren Hajessod (Dr. Chaim Koffler)

Vienna: 26 February 1930

Dear Sir,

I cannot do as you wish. I am unable to overcome my aversion to burdening the public with my name, and even the present critical time does not seem to me to warrant it. Whoever wants to influence the masses must give them something rousing and inflammatory and my sober judgement of Zionism does not permit this. I certainly sympathise with its goals, am proud of our University in Jerusalem and am delighted with our settlement's prosperity. But, on the other hand, I do not think that Palestine could ever become a Jewish state, nor that the Christian and Islamic worlds would ever be prepared to have their holy places under Jewish care. It would have seemed more sensible to me to establish a Jewish homeland on a less historically-burdened land. But I know that such a rational viewpoint would never have gained the enthusiasm of the masses and the financial support of the wealthy. I concede with sorrow that the baseless fanaticism of our people is in part to be blamed for the awakening of Arab distrust. I can raise no sympathy at all for the misdirected piety which transforms a piece of a Herodian wall into a national relic, thereby offending the feelings of the natives.

Now judge for yourself whether I, with such a critical point of view, am the right person to come forward as the solace of a people deluded by unjustified hope.

Your obediant servant,

Freud

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Article in "Corriere della Sera"

sabato, 28 giugno, 2003
VARIE
Pag. 031

E Freud disse no al sionismo: la diaspora è di tutti

I RETROSCENA Una lettera «non propizia» destinata a restare segreta PIONIERI Per lui la «terra promessa» era la coscienza umana
IL CASO
Di Stefano Paolo

Nel febbraio 1930, Sigmund Freud riceve un appello dell' associazione «Keren Hajessod» in cui gli si chiede di protestare contro le popolazioni arabe in Palestina che vietano agli ebrei le manifestazioni di culto e l' accesso al Muro del Pianto. A quell' appello, inviato a molti eminenti intellettuali ebrei, Freud risponde il 26 febbraio con una lettera che aiuta a comprendere meglio le sue posizioni rispetto al sionismo. Una lettera considerata «non propizia» dal destinatario, il dottor Chiam Koffler, e quindi condannata a rimanere inedita. Non a caso fu trasmessa dallo stesso Koffler al dr. Abraham Schwadron di Gerusalemme (un sionista di sinistra collezionista di autografi) in cambio della promessa che «nessun occhio umano potesse mai vederla». Quel documento «non propizio» viene ora pubblicato da Michele Ranchetti in un saggio intitolato La terra promessa. Una lettera inedita di Freud che appare ne L' ospite ingrato, il semestrale del Centro Studi Franco Fortini. La lettera, in realtà già conosciuta in parte, come osserva lo stesso Ranchetti, rimane imbarazzante ancora oggi, a oltre settant' anni dalla sua stesura. Perché «non è propizio il pensiero di Freud, se esso non serve ad una delle due o più parti in conflitto». «E' uno dei pochissimi esempi... in cui Freud non si mostri reticente o prudente nei riguardi del sionismo e al contrario formuli un giudizio sulle ragioni di una conflittualità che si sarebbe sviluppata in quelle terre», osserva Ranchetti. Sul suo essere ebreo, Freud si era pronunciato più volte: «Posso dire di sentirmi lontano dalla religione ebraica come da tutte le religioni - scrive nel ' 25 -. Per contro ho sempre avuto molto forte il senso di appartenenza al mio popolo, che ho cercato di coltivare anche nei miei figli». E l' anno dopo: «Ciò che mi legava all' ebraismo era (...) non la fede, e nemmeno l' orgoglio nazionale (...). Ho sempre cercato di reprimere l' orgoglio nazionale, quando ne sentivo l' inclinazione (...). Ma tante altre cose rimanevano che rendevano irresistibile l' attrazione per l' ebraismo e gli ebrei, molte oscure potenze del sentimento». E rispetto al movimento sionista? Mai un cenno di assenso, anzi la lettera testimonia una volta per tutte le sue riserve. Ranchetti mette in parallelo la nascita del sionismo (nel 1896, con la pubblicazione de Lo Stato ebraico di Herzl) con la nascita della psicoanalisi (1899, con l' uscita de L' interpretazione dei sogni). Due progetti di «conquista di un territorio», di una terra promessa. Freud non conobbe mai personalmente Herzl, anche se per qualche anno abitarono nella sua stessa strada, la famosa Bergstrasse di Vienna. Nel 1902, Freud gli scrive per informarlo che ha chiesto all' editore di mandargli, per recensione, una copia della Traumdeutung, aggiungendo: «La prego di conservare la copia come testimonianza dell' alta stima in cui ormai da anni, così come altri, tengo lo scrittore e il combattente per i diritti umani del nostro popolo». Ma Freud, che tenne sempre a respingere l' identificazione della psicoanalisi come scienza ebraica, non si dichiarò mai sionista e la sua «terra promessa» era altra cosa rispetto a quella dello scrittore ungherese che fondò l' Organizzazione sionistica mondiale. La «terra promessa» era una patria, per Herzl; la coscienza umana, per Freud. Come sottolinea Ranchetti, per l' uno si tratta di definire un luogo «dove la condivisione degli ideali e delle tradizioni sia libera in una forma di assetto statuale»; per l' altro «la diaspora riguarda tutti gli uomini... per questo la soluzione "territoriale" di Herzl non può non sembrargli riduttiva e, per così dire, inficiata dalla pericolosità di alcune delle sue componenti: il territorio, la lingua, il popolo, lo Stato e, da quando la Palestina è diventata la terra di elezione, la religione e la storia religiosa presente nelle rovine (false) del tempio». Verrà poi, nel ' 39, la grande opera testamentaria di Freud, L' uomo Mosè e la religione monoteistica, oggetto di interpretazioni contrastanti. Per alcuni fu un attacco alle radici stesse dell' ebraismo. Per altri, autobiografia camuffata. Per altri, infine, come il celebre Yosef H. Yerushalmi che vi dedicò uno studio, la storia psicoanalitica di un popolo e di una religione. Resta da chiedersi, osserva ancora Ranchetti, come mai la psicoanalisi non trovò successo in Israele, nonostante i tentativi realizzati sin dagli anni Venti da allievi come Max Eitingon di impiantarvi una scuola freudiana. Ma questa è un' altra storia. Paolo Di Stefano



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